Discriminazione diretta e indiretta sul luogo di lavoro
Al fine di garantire una società giusta e inclusiva, è essenziale eliminare le discriminazioni. In particolare, i luoghi di lavoro sono oggi una delle situazioni ove più si verificano distinzioni fondate su sesso, etnia, orientamento sessuale, idee politiche o associazioni sindacali. Tutto questo, ovviamente, viola principi costituzionali, ma prima ancora quelle minime basi etiche e morali che una società deve avere. Ecco quindi una spiegazione della discriminazione diretta e indiretta sul luogo di lavoro.
Discriminazione diretta sul luogo di lavoro
Il codice delle pari opportunità, entrato in vigore nel 2006, dà un’utile definizione di discriminazione diretta.
“Costituisce discriminazione diretta (...) qualsiasi disposizione, prassi, criterio, atto, patto o comportamento, nonché l’ordine di porre in essere un atto o un comportamento, che produca un effetto pregiudizievole discriminando le lavoratrici o i lavoratori in ragione del loro sesso e, comunque, il trattamento meno favorevole rispetto a quello di un'altra lavoratrice o di un altro lavoratore in situazione analoga”
Questa disposizione va letta di pari passo con l’art. 3 della Costituzione, che sancisce il principio fondamentale di uguaglianza formale:
“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.”
La discriminazione diretta è quindi costituita da un atto o un fatto giuridicamente rilevante che produca un pregiudizio (o un trattamento meno favorevole) a una persona senza che questo pregiudizio si fondi su una diversità di situazioni alla base, che potrebbero legittimare il diverso trattamento.
Discriminazione indiretta sul luogo di lavoro
Lo stesso codice dà poi una definizione di discriminazione indiretta, anche qui riferita alle discriminazioni di genere ma utile per comprendere il significato della locuzione.
“Si ha discriminazione indiretta, ai sensi del presente titolo, quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono o possono mettere i lavoratori di un determinato sesso in una posizione di particolare svantaggio rispetto a lavoratori dell'altro sesso, salvo che riguardino requisiti essenziali allo svolgimento dell'attività lavorativa, purché l'obiettivo sia legittimo e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari”.
Perché si abbia discriminazione indiretta, quindi, si richiede:
- una situazione oggettiva di svantaggio;
- la presenza di una misura neutra;
- l’effetto di disparità di trattamento, anche solo potenziale, di tale misura;
- la mancanza di una giustificazione di questa situazione per finalità legittimamente perseguite e comunque proporzionate ai mezzi con i quali le si è perseguite.
La valutazione della proporzionalità è lasciata all’interprete, ossia al giudice.
Il contrasto alle discriminazioni indirette trova copertura costituzionale all’art. 3 comma 2 della Costituzione, che recita:
“È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”
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