Gli approcci alla disabilità: dal concetto di tragedia individuale a quello di rapporto tra individuo e società
I fenomeni sociali sono per loro stessa natura complessi. Trattandosi di persone l’imprevedibilità dei loro pensieri e comportamenti risulta essere troppo sfuggente per poter fare delle previsioni o delle descrizioni complete e che possano essere considerate esaustive. La disabilità, ovviamente, non fa eccezione. Ci sono tuttavia alcuni indicatori che possono suggerire quale sia la cultura legata ad alcuni fenomeni: le leggi vigenti, il linguaggio di giornali e altri mezzi di comunicazione, i diritti che vengono considerati come acquisiti per alcune “categorie” di persone, l’accesso alle risorse economiche e non solo e così via. In questo articolo cercheremo di mettere in luce gli approcci che nel tempo hanno caratterizzato la disabilità, comprendendo che man mano che le società progrediscono, anche la cultura che le compone diviene più complessa.
Modello medico della disabilità
In questo articolo trattiamo gli approcci alla disabilità che hanno caratterizzato la nostra società occidentale nell’ultimo secolo e nella prima metà del Novecento vigeva principalmente l’approccio medico. Figlio di un’idea individualista del cittadino che “porta le sue croci da solo”, è un approccio che nella definizione di disabilità tiene conto esclusivamente dei deficit fisici, sensoriali o cognitivi dell’individuo. La conseguenza spiccia di questo approccio è sintetizzabile nell’affermazione: “Questa cosa è accaduta a te, risolviti il problema da solo”. L’ambiente e la società non hanno alcun ruolo in questo approccio e anche la narrazione della disabilità ne subisce le conseguenze: la parola “invalido” e “handicappato” di conseguenza entrano nel linguaggio comune non solo giuridico e i supporti a sostegno delle persone con disabilità non sono un obbligo né etico né politico. Ciò che la persona con disabilità deve fare è cercare di omologarsi il più possibile ad un individuo privo di deficit, attraverso la più ampia riabilitazione possibile (il concetto di “abilitazione” non è preso in considerazione) e appoggiandosi alla propria cerchia di conoscenze per risolvere eventuali problemi di integrazione e di partecipazione nella società.
I modelli sociale e politico
Questi modelli iniziano a farsi largo con le proteste per i diritti civili degli anni Sessanta del XX secolo e prendono una forma più concreta negli anni Ottanta. Al centro dell’approccio sociale troviamo da parte delle persone con disabilità la consapevolezza di appartenere ad una minoranza oppressa e ignorata, che identifica nell’assenza di accessibilità e di comprensione delle sue esigenze il problema della mancata integrazione e comprensione da parte della società stessa. Il modello politico della disabilità è quasi una conseguenza di questo nuovo approccio: la disabilità è e deve essere politica, perché sono le norme e le leggi che tutelano l’effettiva partecipazione nella società dell’individuo. In questi anni inizia l’attivismo portato avanti soprattutto dalle associazioni storiche di categoria e l’idea che le comunità di persone con disabilità alle volte possano condividere una cultura, come nel caso della lingua dei segni per le persone sorde.
Il modello bio-psico-sociale
Con un’evoluzione consapevole degli studi e degli approcci legati alla disabilità, vediamo nascere il modello attuale, promosso e concretizzato nella Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità. Il modello bio-psico-sociale prende forma grazie all’ICDF, un manuale che mette in relazione, riassumendo forse troppo, le caratteristiche fisiche, cognitive e sensoriali dell’individuo in relazione con l’ambiente che avrà anch’esso delle caratteristiche e potrà contrapporre delle barriere all’individuo che presenta un deficit per il raggiungimento dei suoi obiettivi e della sua partecipazione nella società.
In questo approccio vediamo quindi un elemento nuovo ma assolutamente fondamentale nel discorso sulla disabilità: l’ambiente. L’accessibilità di un ambiente, fisica o digitale che sia, la presenza di barriere di varia natura (da quelle architettoniche a quelle sensoriali e digitali) contribuiscono tanto quanto le singole caratteristiche dell’individuo alla sua partecipazione nella società. Questo pone quindi i governi e la società in generale di fronte alla responsabilità diretta e non ignorabile di doversi fare promotrice di un ambiente che dovrà abbattere il più possibile le barriere alla partecipazione.
Conclusioni
L’evoluzione del pensiero sulla disabilità ed i modelli che da tale evoluzione sono scaturiti è una storia che ci racconta di quanto sia importante la consapevolezza delle persone con disabilità del loro apporto nella società e del fatto di essere una comunità che può dimostrarsi coesa ed orientata ad un obiettivo comune. Il modello sociale ci ha regalato la consapevolezza della cultura condivisa della disabilità, consentendo a questa parte di popolazione di raggiungere obiettivi sociali e politici inimmaginabili fino a pochi decenni prima. Il modello bio-psico-sociale ne è l’esatta conseguenza. E’ parere di chi scrive tuttavia che seppur il modello bio-psico-sociale si dimostri quello più vicino all’unicità dell’individuo con o senza disabilità e che era assolutamente tempo che la società si prendesse le proprie responsabilità, il rischio reale è che la comunità delle persone con disabilità sbilanci troppo la propria attenzione sull’ambiente, perdendo effettivamente quella forza comunitaria che ha portato all’ottenimento dei diritti tra gli anni 80 e 90 del Novecento. L’invito di chi scrive è di non dimenticare mai il fatto che i diritti rischiano sempre di essere persi e che quindi bisogna sempre tenere l’attenzione alta partecipando, per quanto possibile, alle azioni che le associazioni di persone con disbailità promuovono.
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