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Dajana Gioffrè

Bambini con disabilità: è necessario cambiamento per inclusione nella società

Dalle classi speciali alla scuola inclusiva, tra limiti e opportunità

Parte tutto dalla scuola

Un merito che lo Stato italiano e la sua stessa scuola non si riconosce mai abbastanza frequentemente, è di aver dato vita alla cosiddetta “Scuola inclusiva” ovvero una scuola in cui tutti i bambini e i ragazzi sono inclusi, senza distinzioni di alcun genere. I bambini con disabilità non fanno eccezione e nonostante ognuno e ognuna di noi sia ben consapevole che nella nostra scuola i bambini con disabilità ci sono e frequentano le lezioni, questo in realtà non è per nulla scontato in moltissimi luoghi del mondo, anche della stessa Unione Europea.

La scuola è il luogo in cui i bambini imparano a convivere, confrontarsi, apprendere e mettersi in gioco. E’ il primo luogo in cui ognuno, nessuno escluso, impara il valore della diversità da diverse prospettive: culturale, economico, etnico e così via. La scelta, ormai nei lontani anni Settanta, di accogliere indistintamente ogni bambino nelle classi è stata allora, come ora, una sfida non indifferente. Le lotte per i diritti civili degli anni Settanta, infatti, prevedevano la chiusura delle “Scuole speciali” istituti pensati per ospitare i bambini con disabilità, molto spesso ciechi o sordi, o anche la chiusura delle “classi speciali” che si trovavano nelle scuole di tutti ma in classi appunto separate, dove venivano raccolti gli alunni con disabilità motoria o / e intellettiva. E’ nel 1975 che vediamo le prime sperimentazioni, classi di tutti in cui i bambini con disabilità entravano in aula senza spazi dedicati, eliminando il concetto di ghetto che è totalmente incompatibile con il tema dell’inclusione.

I problemi ci sono ancora

I bambini con disabilità possono contare su diverse figure professionali che si possono occupare della loro salute e sviluppo: logopedisti, fisioterapisti, assistenti alla comunicazione e altri ancora. Le famiglie di questi bambini entrano molto spesso all’interno di circuiti fatti di visite mediche, neuropsichiatri infantili e ogni sorta di diagnosi per comprendere quale sia il percorso migliore da dedicare a quel specifico bambino. Questo segue il concetto fondamentale, varato anche dalla Convenzione ONU sui diritti del fanciullo del 1989, che la priorità assoluta è garantire il benessere del bambino, inquanto individuo di cui prendersi cura avendo come principio cardine innanzitutto la sua tutela. Tuttavia non è facile mantenere questo diritto: i servizi dedicati alle famiglie si differenziano molto da regione a regione sul territorio italiano e anche il supporto delle associazioni, di conseguenza, è molto differenziato. I due cardini fondamentali che non si distinguono però sono proprio i servizi professionali e la scuola inclusiva: questi sono diritti fondamentali sanciti da leggi dello Stato e a questi spesse volte i genitori si appoggiano per assicurare i diritti dei loro bambini.

La sfida tuttavia è giornaliera: capita spesso che nei luoghi dedicati ai più piccoli si faccia fatica ad accogliere un bambino con disabilità perché necessità di un supporto specifico che richiede un professionista dedicato, come ad esempio un educatore. Tutte le estati assistiamo alle denunce di genitori che vedono i loro bambini rifiutati dal servizio di Estate ragazzi perché “Non può essere messo a disposizione un supporto dedicato”. Chi scrive non pensa che sia esclusivamente un problema di “discriminazione” quanto invece un tema di mancanza di linee guida ed esperienza per gli enti che svolgono attività per l’infanzia. Per questo motivo il ruolo delle associazioni e dei professionisti del settore è fondamentale: spesso sono proprio loro che danno il giusto supporto e le linee guida necessarie per accogliere al meglio il bambino con disabilità nei diversi contesti.

Un tema che inoltre viene poco affrontato è quello della qualità dell’esperienza per i bambini con disabilità: ci si sofferma quasi sempre al fatto che il bambino sta bene perché svolge le stesse attività degli altri bambini. Questo non è così scontato: se durante una gita scolastica un bambino con disabilità visiva non ha modo di esplorare, al pari dei suoi compagni, ciò che tutti ammirano al museo o a teatro, oppure un bimbo autistico deve trascorrere il tempo in un luogo con molti stimoli sensoriali, non è detto che l’esperienza sia positiva. E’ in questi contesti che entra a gamba tesa il tema dell’accessibilità: non c’è niente di male nell’affermare che insieme all’esperienza condivisa con tutti i compagni di classe o comunque con i propri coetanei, il bambino con disabilità ha delle necessità specifiche che gli consentono di uscire dalle esperienze con lo stesso livello di conoscenza o divertimento dei suoi compagni. Un esempio emblematico è rappresentato dalle stanze multisensoriali, dedicate alle persone neurodivergenti e che stanno iniziando a diffondersi in luoghi della cultura. Consistono in stanze in cui le stimolazioni sensoriali sono limitate, con oggetti confortevoli al tatto, assenza di rumori eccessivi e un’illuminazione tenue. Sono spazi in cui il bambino autistico durante una gita scolastica può scaricarsi e dedicarsi del tempo, senza vivere in maniera stressante un momento che per la maggior parte dei bambini è motivo di gioia: la gita scolastica.

In conclusione, la sfida dell’inclusione passa anche e soprattutto dalle esperienze e dalle opportunità dei bambini con disabilità. Avendo sempre in mente la loro tutela, immaginando un’infanzia ricca di esperienze e soprattutto inclusione. Il passaggio fondamentale è quello di assicurare un adattamento di tutti i servizi dedicati ai bambini che preveda un’inclusione reale e non fittizia, caratterizzata quindi dall’accessibilità. E’ attraverso esperienze inclusive e accessibili che i bambini con disabilità potranno effettivamente scoprire il mondo in tutte le sue sfaccettature, diventando così adulti consapevoli delle loro possibilità ed opportunità.   

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