Lavoro e disabilità: la persona giusta al posto giusto, vale per tutt*
Il lavoro è una delle attività che occupano la maggior parte della vita delle persone. Esso svolge un ruolo fondamentale non solo dal punto di vista economico (il lavoro permette di raggiungere l’indipendenza) ma anche sociale, poiché consente al lavoratore di identificarsi con l’attività lavorativa che svolge, individuando una collocazione nella società, attraverso il suo contributo ad essa, sia che si tratti di una funzione amministrativa in una pubblica amministrazione, sia di un impiego professionale all’interno di un’azienda privata. Il lavoro in sostanza è un tema di importanza primaria nella vita delle persone in generale, ancora di più quando si tratta di disabilità. Per questo, i due fattori di vita sopra identificati (indipendenza economica e identificazione sociale) devono essere tutelati quando si parla di disabilità poiché da report e ricerche risulta lampante che la nostra società non è ancora pronta ad una piena inclusione dei lavoratori e lavoratrici con disabilità. A tale scopo vengono costruiti dispositivi normativi essenziali per avviare, e si spera concludere, la loro integrazione lavorativa.
Lavoro e disabilità: una prospettiva europea
Nel 2000 è stata promulgata dall’Unione Europea la direttiva sull’uguaglianza in materia di occupazione. Tale direttiva invita gli stati membri dell’Unione Europea ad assicurare politiche che garantiscano parità di trattamento delle persone nel mondo del lavoro, indipendentemente dall’etnia, età, orientamento sessuale, religione, convinzione e, ovviamente, anche presenza di una condizione di disabilità. Le aree di influenza della direttiva sono molto ampie, poiché riguardano l’accesso all’attività di lavoro, la formazione professionale, le condizioni di lavoro e di retribuzione e l’affiliazione a organizzazioni e ordini professionali. Nonostante ciò, i dati più aggiornati sul mondo del lavoro forniti dall’Unione Europea (2022) ci offrono una fotografia non incoraggiante: le persone con un’occupazione nell’UE sono il 76,06% mentre quelle con disabilità il 51,03%, un divario importante, che sicuramente deve avere differenti chiavi di lettura ma che ci dimostra come la strada dell’inclusione reale anche nei luoghi di lavoro sia ancora lunga. Il recepimento della direttiva è avvenuto in maniera differente nei vari paesi dell’UE, in generale comunque la tendenza è quella di stabilire percentuali di lavoratori con disabilità in proporzione al numero dei dipendenti totali dell’azienda / ente.
Vediamo alcuni esempi: in Italia la l. 68/99 sul collocamento mirato delle persone con disabilità prevede l’assunzione di persone con una disabilità riconosciuta uguale o superiore al 46% in proporzione al numero di dipendenti, fino ad un massimo del 15% del totale dei lavoratori. La norma ha ovviamente innumerevoli sfaccettature e il lavoro politico degli ultimi anni delle associazioni di categoria è di adeguare le modalità di tale norma alle esigenze del mercato del lavoro, sempre più fluido, mobile e alla ricerca di competenze specifiche. Questo ragionamento viene applicato anche nei paesi vicini all’Italia: Francia, Spagna e Germania. Un altro metodo, usato soprattutto nei paesi nordici, prevede una legge “ombrello” che identifica la necessità di uguaglianza in tutti gli ambiti della vita delle persone, compreso il lavoro, e pertanto è previsto un sostegno per la persona con disabilità in cerca di lavoro, partendo dal presupposto che questa non deve essere discriminata. Un altro metodo ancora, che può convivere con quelli descritti più sopra, prevede l’affidamento da parte delle aziende delle assunzioni delle persone con disabilità da parte di aziende terze o cooperative sociali che assumeranno le persone con disabilità in sostituzione dell’azienda, se questa dimostra che non ha l’opportunità di assumerle presso i propri spazi. Questa soluzione è particolarmente vantaggiosa per le persone con una disabilità cognitiva o psichica ed è particolarmente popolare nei paesi latini del nostro Continente.
Lavoro e disabilità: quali sono i problemi reali?
Nonostante la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità sia stata ratificata da oltre 170 paesi nel mondo, il tema del collocamento delle persone con disabilità resta motivo di discussione e chiede costantemente di essere dibattuto e adattato. Anche le persone con disabilità che trovano effettivamente un’occupazione hanno percentuali di soddisfazione del proprio lavoro piuttosto basse e gli stipendi sono in media più bassi, tanto che gli stati membri dell’Unione Europea continuano a erogare indennità di accompagnamento per il soddisfacimento dei bisogni primari, questo perché lo stipendio non basta. Quali sono dunque i fattori che influenzano un panorama così diversificato tra lavoratori con e senza disabilità?
1. L’accessibilità: evidentemente uno dei temi che meno spesso viene correlato alle difficoltà lavorative delle persone con disabilità. Tuttavia non si può immaginare un’attività di lavoro soddisfacente o completa se gli strumenti, le strade che portano al lavoro e le tecnologie utilizzate per svolgere la mansione non sono accessibili. Le soluzioni ci sono, ma non vengono prese in considerazione in fase di progettazione di luoghi fisici e spazi virtuali. Esistono esperti in questo settore che possono supportare le organizzazioni in questi delicati passaggi.
2. Poca cultura della disabilità in enti e organizzazioni: per lungo tempo i temi della disabilità sono stati relegati al mondo del volontariato e della solidarietà sociale. Nonostante questi settori continuino a rappresentare la colonna portante nel mondo della disabilità, bisogna accettare un cambio di paradigma che preveda che anche le persone con disabilità vengano considerate lavoratori come tutti e quindi tenuti in considerazione per progettazioni e policy aziendali
3. Il pregiudizio: forse il problema principale per il collocamento delle persone con disabilità. A causa della narrazione pietistica diffusa da mezzi di comunicazione, stampa film e altro, le persone con disabilità vengono viste come individui fragili, al massimo bisognose d’aiuto. Questa immagine è molto lontana dalla visione del giovane smart e performante che il mondo del lavoro desidera per le aziende. La cosa più incredibile è che anche le persone con disabilità possono essere motivate e smart, anzi, abituate ad un mondo che non le considera, quando queste iniziano un lavoro è altamente probabile che siano altamente motivate, proprio perché desiderano, la maggior parte delle volte, scardinare tale pregiudizio.
4. Accesso alla formazione: molto vicino al primo punto di questo elenco, anche l’accesso alla formazione ha a che fare con il tema dell’accessibilità. L’inclusione all’ambito della formazione è tutt'oggi un tema cruciale, spesso rampa di lancio per poter entrare nell’azienda dei propri sogni o per ricoprire il ruolo che si è sempre desiderato. Anche nella progettazione di corsi, materiali formativi, scelta dei luoghi della formazione (fisica o online) l’accessibilità dovrebbe essere il perno su cui far ruotare la progettazione formativa.
Conclusioni
Nell’Unione Europea le persone sono tutelate dal punto di vista del potere d’acquisto e del soddisfacimento dei bisogni primari. Possiamo affermare ciò perché possiamo contare su politiche volte a supportare economicamente le persone con disabilità, ma individuiamo uno squilibrio importante tra intenzioni e ciò che effettivamente viene fatto. Sulla carta le aziende desiderano essere inclusive, vengono addirittura obbligate per legge ad assumere collaboratori con disabilità, ma la qualità del match tra azienda e lavoratore è ancora scarsa, a causa dello stigma legato a questi lavoratori e ad un approccio all’accessibilità ancora zoppicante e acerbo. Chi scrive ritiene che aumentare la consapevolezza su questi temi in maniera molto pratica, affidarsi ad esperti del settore, come si fa per qualsiasi altro tema aziendale, siano le chiavi di volta per assicurare un’inclusione lavorativa che non sia solo quella richiesta dal legislatore, ma un’inclusione di qualità, che vada a soddisfare le esigenze di aziende e lavoratori, insomma, il classico “lavoratore giusto nel posto giusto”.
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