Rappresentazione della diversità nei nostri media: parliamone con Marina Cuollo
E’ un onore e un piacere ospitare Marina Cuollo nelle pagine del nostro blog. Approfondiamo con lei un tema fondamentale per cambiare la prospettiva e l’approccio alla disabilità nella nostra società: la rappresentazione delle persone con disabilità nei media. Troppe volte dimenticate, le persone con disabilità sono raramente protagoniste di prodotti per l’intrattenimento. Pressocchè assenti in ambito pubblicitario, sembrerebbe che non siano dei potenziali destinatari dei prodotti venduti online o nei nostri supermercati. Eppure le persone con disabilità sono, come tutti e tutte, cittadini e consumatori. Scopriamo insieme a Marina qualcosa in più su questo tema, abbracciandone la complessità e il moltissimo lavoro che deve essere fatto per garantire una società più equa e diversificata, nel rispetto di tutti e tutte.
Nata a Napoli nel 1981, Marina è laureata in Scienze Biologiche e Dottoressa di ricerca in processi biologici e biomolecole. Scrittrice, TedX speaker, conduttrice, editorialista e consulente DEIA per Diversity Lab, collabora con diverse testate, tra cui «Vanity Fair», e si occupa di rappresentazione della disabilità in ambito mediale. «A Disabilandia si tromba» è il suo libro d'esordio (Sperling; Kupfer 2017). «Viola», edito da Fandango (2022), è il suo primo romanzo, e per Einaudi ha pubblicato «Distorsioni. La falsata rappresentazione della disabilità nelle narrazioni filmiche» (2024). Nel 2021 ha condotto i Diversity Media Awards insieme a Diego Passoni.
Sei un'attivista ormai riconosciuta nell'ambito della rivendicazione dei diritti sociali e ti impegni giornalmente per porre l'attenzione della società sulla rappresentazione, la valorizzazione e la coesione delle differenze. Come è iniziato questo tuo percorso e perché hai deciso di intraprenderlo?
Il mio attuale lavoro, che spazia tra scrittura, divulgazione e consulenza, nasce da un percorso di crescita personale e di profonda riflessione sul tema della disabilità. Non è stato un percorso pianificato, ma il risultato di una serie di eventi che mi hanno portato a cambiare direzione professionale. Per anni ho lavorato come biologa nel settore scientifico, ma durante una pausa in attesa di un nuovo contratto, ho avvertito un'urgente necessità di comunicazione. Avevo bisogno di capire perché il modo in cui la disabilità viene abitualmente rappresentata e comunicata mi facesse tanto arrabbiare. Quel bisogno di capire e decostruire è stato il punto di partenza. Ho cominciato a studiare, a informarmi, e a scrivere. Tutto ciò che è seguito è stata una naturale conseguenza, guidata dalla comprensione dei molteplici modi in cui l’abilismo influisce sulle nostre vite.
Se dovessi descrivere con un'immagine la situazione attuale della rappresentazione delle persone con disabilità, quale useresti?
A tal proposito, mi viene in mente un’immagine stock utilizzata durante un evento, che mi ha lasciata davvero perplessa. Ritraeva una bambina in sedia a rotelle, dall’aria piuttosto triste, mentre proiettava sul muro l’ombra di una ballerina che danzava. Un’immagine del genere credo sintetizzi perfettamente non solo una rappresentazione cupa e tragica della disabilità, ma anche l’idea che tutte le persone disabili sognino e desiderino un corpo non disabile, un pensiero che non è affatto universale. Uno dei principali problemi nella rappresentazione della disabilità, ancora oggi, è che parte quasi sempre da un punto di vista esterno, senza il diretto coinvolgimento delle persone con disabilità, finendo per perpetuare stereotipi e narrazioni distorte.
Vedersi rappresentati al cinema, a teatro, nella pubblicità o sulla passerella di una sfilata di moda è un modo diretto e se vuoi naturale di riconoscersi e sentirsi considerati dalla società. Secondo te perchè si fà tanta fatica a vedere corpi e menti diversi tra loro in questi contesti?
Purtroppo, l’abilismo è estremamente pervasivo, in particolare nel settore artistico-creativo, che di per sé è già un ambiente fortemente elitario. Le persone con disabilità si trovano ad affrontare numerosi ostacoli, non solo nell’accesso a questo ambito lavorativo, ma anche durante il percorso formativo. A ciò si aggiunge una forte idealizzazione dei corpi e delle menti considerate "idonee" a occupare lo spazio pubblico, un meccanismo che penalizza chiunque si discosti dallo standard normativo, creando quindi innumerevoli barriere all’ingresso.
E perchè questa rivendicazione non è così diffusa tra le persone con disabilità o con altri tipi di condizioni non rappresentate?
Vivere in una società abilista può influenzare profondamente il nostro modo di percepire la realtà. Siamo tutte e tutti immersi in un sistema escludente, e prendere coscienza di questa dinamica non è un percorso immediato, soprattutto per chi appartiene a gruppi sottorappresentati. Io stessa ho realizzato solo tardi l’enorme assenza di persone con disabilità nel settore artistico-creativo. Questo accade perché la discriminazione, con i suoi meccanismi sottili e subdoli, ci induce a credere che una gerarchia di valori legata ai corpi sia qualcosa di normale, semplicemente perché "è così che funziona il mondo". Spoiler: non è affatto così.
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